Ucciso il cane a colpi di balestra: condannato a 10 mesi di reclusione

È notizia di pochi giorni fa la condanna a scontare 10 mesi di reclusione -oltre al pagamento delle spese processuali e al risarcimento del danno- che è stata inflitta dal tribunale di Bergamo nei confronti di un cinquantenne ritenuto colpevole di aver brutalmente ucciso il cane della vicina di casa a colpi di balestra.

L’uomo è stato condannato ai sensi dell’art. 544 – bis c.p. per uccisione di animali, reato che prevede la reclusione da quattro mesi a due anni per chiunque, per crudeltà o senza necessità, abbia cagionato la morte di un animale. La norma è stata introdotta al fine di apprestare una punizione più incisiva per i reati commessi ai danni degli animali, in modo da garantire il rispetto del sentimento per gli animali, inteso come sentimento di pietà che le persone nutrono nei loro confronti.

Ucciso il cane a colpi di balestra: indagini e testimonianze

A seguito del macabro ritrovamento da parte del corpo Forestale dello stato (oggi confluito nell’Arma dei carabinieri), le indagini hanno subito portato gli inquirenti sulle tracce del cinquantenne, anche grazie alla perquisizione domiciliare che ha portato al ritrovamento di un arco e una balestra corredati da dardi e frecce, perfettamente compatibili con quelle che hanno trafitto l’animale.

Il contadino cinquantenne ha raccontato una versione dei fatti diversa da quella avanzata dal Pubblico Ministero, ammettendo di aver scacciato due cani randagi che, a suo dire, stavano attaccando un agnellino appena nato e la pecora che lo aveva partorito, ma negando di aver colpito il cane della vicina, il quale tuttavia è tornato a casa con una freccia di otto centimetri conficcata nel corpo, che lo ha inesorabilmente portato alla morte.

Il Giudice non ha creduto al racconto dell’imputato e sulla base delle prove portate in giudizio lo ha condannandolo a 10 mesi di reclusione e al pagamento di una multa di €3.500,00 come risarcimento del danno cagionato alla vicina proprietaria del cane. Il giudice non ha infatti configurato la “necessità” intesa come nozione che esclude la configurabilità dei delitti di uccisione (art. 544bis), categoria nella quale rientra lo stato di necessità previsto dall’art. 54 c.p., nonché ogni altra situazione che induca all’uccisione o al maltrattamento dell’animale per evitare un pericolo imminente o per impedire l’aggravamento di un danno alla persona o ai beni ritenuto altrimenti inevitabile.

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