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La malattia non è una scusante per l’abbandono di animali

La Cassazione ha confermato la sentenza di condanna per la donna che aveva abbandonato il proprio cane legato ad un palo, nonostante all’epoca fosse affetta dalla malattia della sindrome bipolare che teoricamente non la rendeva totalmente capace di intendere e di volere.

I primi gradi di giudizio e il ricorso della donna

L’imputata ha proposto ricorso in cassazione impugnando la sentenza del Tribunale di Chieti che il 28 settembre 2017 l’aveva dichiara responsabile del reato di cui all’art. 727 c.p. per aver abbandonato il proprio cane di circa 5 mesi d’età, lasciandolo legato ad un palo lungo il margine di una strada. Con il ricorso la donna ha dichiarato l’illegittimità della sentenza basata su una perizia d’ufficio ritenuta inadeguata ed inutilizzabile, ed ha richiesto la nullità della sentenza impugnata per non essere stata dichiarata la mancanza di imputabilità dell’imputata per totale incapacità di intendere e di volere al momento del fatto a causa della malattia (come viene documentato dalla documentata medica fornita dalla parte).

La perizia del medico e la decisione della Cassazione

Il motivo di ricorso inerente al mancato riconoscimento dell’incapacità di intendere e di volere della donna è ritenuto infondato dalla Corte.

La documentazione della ricorrente ha riconosciuto l’esistenza a carico dell’imputata di una malattia psichiatrica di tipo bipolare, in trattamento farmacologico, che ha giustificato nel tempo numerosi ricoveri ospedalieri, l’ultimo dei quali riferito alla prima metà di settembre 2014. Viene però riconosciuto che, dopo tale ultimo ricovero, l’imputata, almeno sino al gennaio 2016, non ha presentato fenomeni di acuzie della sua malattia. La documentazione di parte non si pone però in contrasto con le risultanze cui è giunto il consulente nominato dal Tribunale di Chieti: questi, esaminata l’imputata e valutata la documentazione clinica riferita alla sintomatologia, ha rilevato una patologia di tipo bipolare, a cicli rapidi, non incidente sulla capacità di intendere e di volere al momento della commissione del fatto.

Tali rilievi non risultano contraddetti dalla documentazione della ricorrente che appare testimoniare una lunga remissione, sia pure non definitiva, della patologia di costei e della quale non è mai stata dichiarata la valenza invalidante della coscienza e della capacità di intendere e di volere, proprio a partire dal periodo – seconda metà di settembre 2014 – in cui si sono svolti i fatti incriminati.

La ratio della decisione della Cassazione

L’imputazione del reato di abbandono di animali non viene evitata dalla donna poiché, all’epoca della commissione dei fatti, in base alla perizia ed alla documentazione apportata, l’imputata è stata ritenuta in grado di comprendere e di volere poiché la malattia non era incidente su dette capacità. Ciò permette alla Corte di ritenere la donna, che ha abbandonato il cucciolo ad un palo, colpevole del reato di abbandono di animali di cui all’art. 727 c.p., che disciplina «Chiunque abbandona animali domestici o che abbiano acquisito abitudini della cattività è punito con l’arresto fino ad un anno o con l’ammenda da 1.000 a 10.000 euro. Alla stessa pena soggiace chiunque detiene animali in condizioni incompatibili con la loro natura, e produttive di gravi sofferenze».

Per ulteriori informazioni su questo argomento, non esitare a scriverci a info@avvocatoanimali.it

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