acquisto animali da compagnia

L’acquisto di animali da compagnia è assoggettato all’applicazione del Codice del Consumo

L’acquisto di animali da compagnia non è assoggettato all’applicazione del Codice Civile. Agli occhi del nostro sistema normativo ad oggi gli animali da compagnia, com’è tristemente noto, sono ancora ritenuti “beni mobili non senzienti”, motivo che garantisce al proprietario che abbia acquistato il proprio cane in un allevamento di godere di tutte le tutele garantite dal Codice del Consumo.

La vicenda giudiziaria e la mancata applicazione del Codice del Consumo

L’acquirente porta in giudizio l’allevatore dal quale ha acquistato il suo cane, di razza pinscher, risultato poi affetto da grave cardiopatia congenita, chiedendo la condanna alla parziale restituzione del prezzo pagato e al risarcimento del danno subito. Giudice di pace e corte d’appello rigettano la domanda poiché la raccomandata spedita dall’attore al convenuto era risultata tardiva, essendo stata spedita oltre il termine di 8 giorni previsto dall’art. 1495 c.c. (secondo cui Il compratore decade dal diritto alla garanzia, se non denunzia i vizi al venditore entro otto giorni dalla scoperta, salvo il diverso termine stabilito dalle parti o dalla legge) e ritenendo non applicabile il Codice del Consumo.

La proprietaria del cane decide di proporre ricorso in Cassazione lamentando l’errore nel disciplinare che la vendita di animali derogasse dalla disciplina del Codice del Consumo e per aver quindi ritenuto il Tribunale che “il termine di decadenza per la denunzia dei vizi della cosa venduta fosse quello – previsto dall’art.1495 cod. civ. – di otto giorni dalla scoperta del vizio, piuttosto che quello di due mesi previsto dall’art. 132 del Codice del Consumo.”

Per la Cassazione il ricorso è fondato.

L’analisi del significato di “bene giuridico”

Per i giudici di legittimità è doveroso fare una lunga premessa su cosa in diritto si intenda per bene giuridico, per comprendere se nel caso di specie si possa applicare il Codice del Consumo. La Corte ricorda che “dal punto di vista ontologico, i concetti di “bene” (bonum) e di “cosa” (res) sono diversi e non sovrapponibili. La cosa, intesa come una qualsiasi porzione del mondo esterno, è di per sé un’entità naturale, pregiuridica; essa diventa “bene giuridico” quando, per il fatto di essere suscettibile di utilizzazione da parte dell’uomo e di assumere valore economico, viene presa in considerazione dal diritto, sì da divenire oggetto di rapporti giuridici. Nonostante che dal punto di vista naturalistico il concetto di “cosa” non coincida con quello di “bene”, nel diritto positivo i due concetti vengono fatti coincidere.”

Seguendo tale ragionamento i giudici ricordano come “nel campo dell’esperienza giuridica vanno considerati come “cose” anche gli esseri viventi suscettibili di utilizzazione da parte dell’uomo: non solo i vegetali, ma anche gli animali. […] Non tutti gli animali, però, assumono per l’uomo lo stesso significato ed hanno lo stesso rilievo. Com’è noto, a parte gli animali selvatici, gli animali addomesticati dall’uomo sono tradizionalmente distinti in animali “da reddito”, utilizzati per il lavoro o per la produzione, e animali “da compagnia” (o “d’affezione”), per tali intendendosi «ogni animale tenuto, o destinato ad essere tenuto, dall’uomo, per compagnia o affezione senza fini produttivi od alimentari» (art. 1 d.P.C.m. 28/02/2003).

Gli animali non hanno diritti secondo le norme vigenti

Per la Cassazione è proprio l’importante e sempre crescente ruolo che gli animali da compagnia hanno assunto nell’attuale società che ha indotto a rafforzare la loro tutela giuridica attraverso la legge 281/1991 (legge quadro in materia di animali di affezione e prevenzione del randagismo”) e con la Convenzione europea per la protezione degli animali da compagnia (stipulata a Strasburgo il 13 novembre 1987 e ratificata in Italia con la legge 4 novembre 2010 n. 201): nonostante questo però gli animali non sono titolari di diritti. “L’animale, per quanto sia un essere senziente, non può essere soggetto di diritti per la semplice ragione che è privo della c.d. “capacità giuridica” (che si definisce, appunto, come la capacità di essere soggetti di diritti e di obblighi); capacità che l’ordinamento riserva alle persone fisiche e a quelle giuridiche.” È infatti tristemente noto che, stante le vigenti norme giuridiche, gli animali sono considerati soltanto come delle mere cose mobili, beni giuridici che possono costituire oggetto di diritti reali degli umani.

acquisto animali da compagnia

Acquisto di animali da compagnia

Gli animali, perciò, possono costituire oggetto di compravendita (art. 1470 cod. civ.): il codice civile infatti disciplina specificamente la loro compravendita all’art. 1496 cod. civ.  Ma quindi gli animali sono da considerarsi bene di consumo e, conseguenzialmente, è possibile applicare il Codice del Consumo?

Secondo il giudice d’appello in assenza di leggi speciali non rimane che applicare la disciplina prevista dal codice civile in materia di vizi della cosa venduta: per la Cassazione questa interpretazione è tuttavia errata.

È necessario infatti interpretare l’art. 1496 c.c. tenendo conto dell’evoluzione del sistema normativo nel suo complesso: in tema di vendita di beni di consumo infatti si applica innanzitutto la disciplina del codice del consumo, mentre la disciplina del codice civile viene applicata solo per quanto non previsto dal Codice del consumo.

Gli animali possono essere beni di consumo?

Per applicare il Codice del Consumo però il bene oggetto della questione deve essere un “qualsiasi bene mobile e per venditore si intende qualsiasi persona fisica o giuridica pubblica o privata che, nell’esercizio della propria attività imprenditoriale o professionale, utilizza i contratti). Ai sensi dell’art. 3 del codice del consumo, per “consumatore” si intende poi «la persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta».

Sempre secondo l’interpretazione della giurisprudenza si intendono per consumatori “persone fisiche allorché concludano un contratto per la soddisfazione di esigenze della vita quotidiana estranee all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente esercitata, dovendosi invece considerare professionista il soggetto che stipuli il contratto nell’esercizio di una siffatta attività o per uno scopo a questa connesso (Cass., Sez. 6 – 3, n. 5705 del 12/03/2014; Sez. 6 – 1, n. 21763 del 23/09/2013).

Per questo motivo, conclude la Corte, “non può dubitarsi che la persona fisica che acquista un animale da compagnia (o d’affezione), per la soddisfazione di esigenze della vita quotidiana estranee all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente esercitata, vada qualificato a tutti gli effetti “consumatore”; e che vada qualificato “venditore“, ai sensi del codice del consumo, chi nell’esercizio del commercio o di altra attività imprenditoriale venda un animale da compagnia; quest’ultimo, peraltro, quale “cosa mobile” in senso giuridico, costituisce “bene di consumo“.

Considerato che la disciplina del codice del consumo è prevalente – laddove è applicabile – su quella del codice civile e considerato che la compravendita di animali da compagnia non è esclusa dalla disciplina del Codice del Consumo, non v’è ragione per negare all’acquirente di un animale da compagnia la maggior tutela riconosciuta da tale ultimo Codice quando risultino sussistenti i presupposti per la sua applicabilità.”

Nel caso di specifico il diritto del proprietario di essere risarcito sarebbe decaduto se non avesse denunciato al venditore il “difetto di conformità” del cane entro il termine di due mesi dalla data i cui ha scoperto il difetto, termine ampiamente rispettato dai proprietari del pinscher.

Sentenza cassata e rinviata al Tribunale

Avendo i giudici di secondo grado escluso l’applicazione del codice del consumo nel caso di specie la sentenza viene cassata e rinviata al Tribunale che dovrà conformarsi ai principi di diritto secondo cui:

  • «La compravendita di animali da compagnia o d’affezione, ove l’acquisto sia avvenuto per la soddisfazione di esigenze della vita quotidiana estranee all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente esercitata dal compratore, è regolata dalle norme del Codice del Consumo, salva l’applicazione delle norme del codice civile per quanto non previsto»;
  • «Nella compravendita di animali da compagnia o d’affezione, ove l’acquirente sia un consumatore, la denuncia del difetto della cosa venduta è soggetta, ai sensi dell’art. 132 del codice del consumo, al termine di decadenza di due mesi dalla data di scoperta del difetto».

Per ulteriori informazioni scriveteci su info@avvocatoanimali.it

Comments are Closed