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Green Hill: secondo la Cassazione non fu furto

Nel numero di febbraio di Quattro Zampe parliamo della vicenda di Green Hill e della pronuncia della Cassazione relativa a questo caso.

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Green Hill: la pronuncia della Cassazione

Green Hill: il caso arriva in Cassazione e i giudici di legittimità stabiliscono che gli animalisti che “rubarono” i cani dell’allevamento non lo fecero con dolo e per un vantaggio patrimoniale quindi per loro non è configurabile il reato di furto.

Il caso Green Hill

La prima volta che abbiamo sentito parlare dell’allevamento di Green Hill è stato il 28 aprile 2012 quando, durante una manifestazione pacifica, alcuni manifestanti “animalisti” hanno portato in salvo diversi cani destinati ad essere sottoposti alla sperimentazione e ai laboratori di vivisezione. Erano cani che l’allevamento faceva nascere esclusivamente per venderli agli scienziati affinché venissero utilizzati come cavie. 

Il 18 luglio 2012 i giudici stabiliscono che i cani sottratti ad aprile dovessero essere ufficialmente sottoposti a sequestro probatorio e Lav e Legambiente sono stati nominati custodi giudiziari dei cani, riuscendo a trovare famiglie adottive per tutti.

Le pronunce sul caso Green Hill

In seguito alla vicenda l’allevamento di Green Hill, di proprietà dell’azienda americana “Marshall BioResources”, è stato chiuso ed è stato avviato un processo nei confronti degli attivisti ritenuti responsabili di aver rubato i beagle liberati. 

La sentenza di primo grado si era pronunciata con l’assoluzione degli imputati, mentre in secondo grado la Corte d’Appello di Brescia a Luglio 2019 ha completamente ribaltato la decisione territoriale dichiarandoli responsabili del reato a loro imputato. 

Il caso approda in Cassazione

Con sentenza 40438/2019 la Cassazione si è pronunciata a favore degli attivisti, ribaltando completamente la decisione di secondo grado. I giudici di legittimità hanno infatti annullato il provvedimento della corte d’Appello di Brescia, negando la configurabilità del reato di furto dei 67 beagle sottratti al loro infausto destino. 

Il dolo specifico del delitto di furto

Nella sentenza della Cassazione è puntigliosamente spiegato il perché della decisione, che fa riferimento al dolo specifico del delitto di furto. I giudici di legittimità ricordano che l’elemento soggettivo del delitto di furto esiste nel momento in cui l’autore del reato abbia agito per conseguire un ampliamento del proprio patrimonio. E’ infatti necessario che chi lo realizza voglia trarci un guadagno, ne ricavi un interesse personale, voglia soddisfare un proprio bisogno, anche solo spirituale.

Nel caso concreto secondo la Cassazione se l’utilità perseguita dagli attivisti del furto deve essere connessa alla cosa oggetto dell’impossessamento e non all’azione in sé, non si capisce che vantaggio – anche solo morale – gli attivisti si sarebbero prefigurati di conseguire “rubando” i cani dall’allevamento. Per questo motivo la Corte ha ritenuto di escludere il dolo specifico e di conseguenza la realizzazione del reato.

Ha quindi annullato la sentenza impugnata rimandandola ai giudici di secondo grado per un riesame.

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