Condanna penale per maltrattamento animali

L’art. 544-ter del Codice Penale affronta la tematica del “maltrattamento di animali” ed enuncia che:

“Chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona una lesione ad un animale ovvero lo sottopone a sevizie o a comportamenti o a fatiche o a lavori insopportabili per le sue caratteristiche ecologiche è punito con la reclusione da tre mesi a un anno o con la multa da 3.000 a 15.000 euro.

La stessa pena si applica a chiunque somministra agli animali sostanze stupefacenti o vietate ovvero li sottopone a trattamenti che procurano un danno alla salute degli stessi.[…]”

Per la configurazione del reato sopraesposto è necessario dunque l’elemento soggettivo doloso.

A tal riguardo risulta interessante la sentenza n. 2568/2013 del Tribunale di Verona il quale affronta proprio il tema del maltrattamento di animali: una donna veniva condannata per il reato ex art. 544-ter c.p. perchè cagionava lesioni ad oltre 100 animali tra adulti e cuccioli di cani, detenendoli in condizioni incompatibili con la loro natura e produttive di grandi sofferenze.

L’allestimento dell’allevamento violava anche le disposizioni previste dalle leggi regionali a causa di recinti privi di visibilità, dimensioni che non permettevano possibilità di movimento, deiezioni non smaltite correttamente e mancanza di un sistema di ventilazione forzata che avrebbe permesso un ricambio d’aria e di un recinto all’aperto: veniva quindi contestato all’imputata di non essersi adoperata affinché gli animali avessero l’assistenza necessaria dal punto di vista veterinario e di aver causato, con tale omissione, la morte di almeno tre cuccioli.

In sua difesa, la donna sosteneva di essere stata cacciata in malo modo dal capannone nel quale gestiva precedentemente il proprio allevamento e di essersi adoperata al meglio per il ricovero dei cani nell’attesa di ottenere l’autorizzazione all’esercizio dell’attività e di essersi comunque sempre occupata di loro “amorevolmente”.

Il Tribunale ha quindi precisato che il delitto di cui all’art. 544-ter c.p. si configura ogni qualvolta si cagionino (anche in forma omissiva, secondo quanto dispone l’art. 40 c.p., nel caso in cui sull’agente incomba l’onere di impedire l’evento) per crudeltà, o comunque senza necessità, lesioni agli animali, ovvero li si sottoponga a sevizie, comportamenti, fatiche o lavori insopportabili per le loro caratteristiche etologiche. Nella sentenza, seguendo l’orientamento della giurisprudenza precedente, viene ribadito che è sufficiente, ai fini dell’integrazione del reato, la sussistenza dell’elemento soggettivo del dolo generico.

Il tribunale di Verona analizza infine il rapporto tra l’art. 544-ter c.p. e la contravvenzione di cui all’art. 727, c. 2, c.p.

La condotta di maltrattamento di animali sorretta da dolo (anche eventuale), come nel caso analizzato, rientra nel campo di applicazione dell’art. 544 ter c.p., il quale richiede appunto l’elemento soggettivo doloso.

Vengono invece punite con la contravvenzione contenuta nell’art. 727 comma 2 c.p. le condotte meramente colpose consistenti nella detenzione di animali in condizioni incompatibili con la loro natura tali da provocare gravi sofferenze.

In conclusione si può affermare che, in tema di maltrattamento di animali, sarà necessario verificare se dalla condotta siano derivate lesioni o almeno una grave sofferenza e poi valutare l’elemento soggettivo per inquadrarla nella corretta fattispecie.

Il Tribunale ha condannato l’imputata per il delitto di cui all’art. 544-ter c.p., per le lesioni cagionate dovute a trascuratezza, avendo potuto accertare – dapprima sul luogo in cui gli animali venivano detenuti ed in seguito al sequestro e l’affidamento alla LAV dai veterinari incaricati di visitarli – che alcuni dei 110 cani detenuti fossero affetti da gravi patologie (quali otite, dermatite, bronchite, ecc) determinate, appunto, da incuria e omissione di cure veterinarie.

Sussiste quindi “rispetto a tale comportamento omissivo, il dolo al più eventuale, vista la piena accettazione del rischio dell’evento-lesione come conseguenza della propria omissione”.

Si aggiunga che, nel caso in esame, l’allevatrice è stata condannata ad 8 mesi di reclusione (pena sospesa) oltre a 3 mesi di sospensione dell’attività di allevamento esercitata dall’imputata, alla confisca di tutti gli animali ed il loro affidamento alla LAV ed al risarcimento del danno subito dalla LAV, costituitasi parte civile.

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