collare elettrico

Collare elettrico: per la Cassazione è maltrattamento

L’articolo di oggi affronta il tema della responsabilità penale a carico di chi detiene cani con collare elettrico antiabbaio.

Il collare elettrico antiabbaio: la decisione storica della Cassazione

È notizia recente quella di un uomo condannato dal Tribunale di Verona a 800,00 Euro di ammenda ed al pagamento delle spese di giudizio perché faceva indossare quotidianamente ai suoi cani un collare elettrico antiabbaio, avente la caratteristica di emanare scosse elettriche all’abbaiare degli animali.

Il proprietario ha proposto ricorso per Cassazione, sottolineando che i cani erano comunque stati rinvenuti in salute e senza lesioni dai vigili urbani, intervenuti in soccorso dei due animali.

Inoltre, l’uomo sosteneva la mancanza di prova relativa al fatto che il collare elettrico avesse provocato sofferenze ai suoi cani e che comunque veniva loro applicato solo in via eccezionale e sorvegliata, per evitare che recassero disturbo ai vicini.
Tuttavia, la Suprema Corte ha respinto il suo ricorso e confermato la condanna stabilita dal Tribunale di Verona nel 2014, condannando l’uomo al pagamento delle spese processuali oltre ad Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

In particolare, la Corte di Cassazione, Sezione III Penale, con Sentenza n. 3290 del 24/01/2018 ha condannato l’imputato ai sensi dell’art. 727 c. 2 c.p., il quale statuisce il reato di abbandono di animali e prevede che “alla stessa pena soggiace chiunque detiene animali in condizioni incompatibili con la loro natura e produttive di gravi sofferenze”.

Per quanto riguarda il suddetto reato, la Giurisprudenza di legittimità ha affermato che, ai fini dell’integrazione degli elementi costitutivi, non è necessaria la volontà del soggetto agente di infierire sull’animale, né che quest’ultimo riporti una lesione all’integrità fisica, potendo la sofferenza consistere in soli patimenti.

Il collare elettrico è una forma di maltrattamento

In merito all’uso del collare elettrico antiabbaio – che produce scosse o altri impulsi elettrici trasmessi al cane tramite comando a distanza – la Giurisprudenza ha chiarito che il suo utilizzo integra il reato di cui all’art. 727 c.p., in quanto concretizza una forma di addestramento fondata esclusivamente su uno stimolo doloroso tale da incidere sensibilmente sull’integrità psicofisica dell’animale.

Per quanto attiene alla sussistenza dell’elemento oggettivo di tale reato, la Giurisprudenza ha precisato che costituiscono maltrattamenti, idonei ad integrare il reato di abbandono di animali, non soltanto quei comportamenti che offendono il comune sentimento di pietà e mitezza verso gli animali per la loro manifesta crudeltà, ma anche quelle condotte che incidono sulla sensibilità psicofisica dell’animale, procurandogli dolore e afflizione.

Inoltre, per “abbandono” deve intendersi non solo la condotta di distacco volontario dall’animale, ma anche qualsiasi trascuratezza, disinteresse o mancanza di attenzione, inclusi comportamenti colposi improntati ad indifferenza od inerzia.

Nel caso di specie, secondo la Corte è stato accertato che i due cani si trovavano all’interno di un recinto presso un capannone, muniti di collare elettrico antiabbaio funzionante: un collare che, secondo alcune testimonianze, era permanentemente indossato dai due animali.

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