Riconosciuto il danno morale: sentenza storica

In merito alla risarcibilità del danno non patrimoniale subito da chi perde il proprio animale di affezione, fa scalpore una recentissima sentenza nella quale la Corte d’Appello di Roma ha condannato al risarcimento del danno morale un veterinario, per avere causato con una sua condotta negligente la morte di un cane.

Il Giudice ha spiegato che: «Non sembra dubitabile che la perdita di un animale d’affezione, specie nel caso in cui il rapporto sia radicato da tempo, comporti un pregiudizio non soltanto alla sfera emotivo-interiore, ma sia suscettibile di modificare e alterare le abitudini di vita e gli assetti relazioni del danneggiato».

«Nel caso di un cane da compagnia, è fin troppo noto come le abitudini dell’animale influiscano sulle abitudini del padrone e come il legame che si instaura sia di una intensità particolare, sicché affermare che la sua perdita sia “futile” e non integri la lesione di un interesse della persona alla conservazione della propria sfera relazionale-affettiva, costituzionalmente tutelata, non sembra più rispondente ad una lettura contemporanea delle abitudini sociali e dei relativi valori».

La Presidente nazionale dell’E.N.P.A., Carla Rocchi, ha sottolineato come il valore affettivo che lega l’uomo al proprio animale sia “un valore in sé, che risulta pertanto meritevole di adeguata tutela e di protezione giuridica, a prescindere dagli aspetti di natura patrimoniale.

In attesa del probabile ricorso in Cassazione, è evidente l’importanza di questa decisione della Corte d’Appello in quanto contribuisce a portare un po’ di chiarezza in un ambito dove sussistono, purtroppo, ancora molti dubbi interpretativi.

In tema di animali emerge molto spesso la questione inerente il risarcimento del cosiddetto “danno morale”.

Nonostante la presa di posizione della Corte di Cassazione a Sezioni Unite con le famose sentenze gemelle del novembre 2008 (n. 26972-26975) il tema è rimasto molto dibattuto sia in giurisprudenza che in dottrina.

In merito alla risarcibilità del c.d. “danno morale”, l’interpretazione che pare più corretta inquadra il danno morale come la “sofferenza soggettiva in sé considerata”, non come un ulteriore pregiudizio non patrimoniale, e ricorre quando sia provato “il turbamento dell’animo, il dolore intimo sofferto, senza tuttavia lamentare degenerazioni patologiche della sofferenza”.

Il “danno biologico”, sempre parte della categoria di danno non patrimoniale, ricorre invece quando “il turbamento dell’animo, il dolore intimo sofferto, sia accompagnato da degenerazione patologica della sofferenza” .

Nel caso, quindi, in cui “il turbamento e il dolore intimo sofferti” sfocino in una malattia, la congiunta attribuzione del danno biologico e del danno morale determinerebbe una duplicazione del risarcimento del danno non patrimoniale e deve quindi essere negata.

Dott. Guglielmo Ballestrin

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