permesso retribuito

Permesso retribuito per assistere il cane malato

Per assistere il proprio cane le hanno concesso due giorni di permesso retribuito.

Avete letto bene: una signora di Roma ha ottenuto due giorni di permesso retribuito per assistere il proprio cane a seguito di un intervento.

Finalmente anche in Italia iniziano a muoversi nella direzione giusta. Ma vediamo come è andata…

Permesso retribuito per assistere il cane: com’è possibile?

Non è certo stata un’impresa facile riuscire ad ottenere un permesso retribuito di ben due giorni, perché, come sappiamo, gli animali domestici non sono considerati come esseri viventi senzienti dalla legge, né, tantomeno, come parte integrante della famiglia.

Permesso retribuito: cosa prevede la legge

La legge n.53/2000, il successivo DM n.278/2000 e i contratti collettivi prevedono che il dipendente possa chiedere al proprio datore di lavoro un permesso retribuito per “gravi motivi personali e familiari”.

Le ipotesi sopra citate presuppongono un necessario e particolare impegno da parte del dipendente nella cura del coniuge, dei figli o, più genericamente, di un componente della famiglia anagrafica (chiaramente non si accenna nemmeno lontanamente alle cure degli animali domestici).

Il datore di lavoro, una volta accertata la corrispondenza al vero della richiesta per gravi motivi personali e familiari, può concedere il permesso retribuito richiesto.

E quindi come ha ottenuto il permesso retribuito per assistere un animale?

La donna, una dipendente amministrativa dell’Università La Sapienza di Roma, aveva inizialmente richiesto ai propri datori di lavoro di vedersi concedere un permesso retribuito per poter accudire il proprio cane a seguito di un impegnativo e necessario intervento chirurgico veterinario alla laringe.

La prima ovvia risposta ottenuta, fu, com’è normale immaginarsi, negativa: di certo l’idea di dover retribuire due giorni di lavoro mancato ad una dipendente che deve accudire un animale non allettava più di tanto i suoi datori.

La donna però, senza lasciarsi scoraggiare e facendosi forza per il proprio animale domestico, è riuscita ad ottenere quanto richiedeva: un’enorme conquista non solo per lei ma per chiunque si trovi nella stessa situazione.

Le motivazioni apportate: il “rischio” di incorrere in maltrattamento e abbandono di animali

A sostengo della propria richiesta, la dipendente ha addotto l’argomentazione secondo cui, se non le avessero concesso il permesso e si fosse dovuta così sottrarre dall’assistere il proprio cane a seguito dell’intervento chirurgico, si sarebbe configurata la fattispecie del reato di abbandono e maltrattamento di animale di cui all’art. 727 c.p.

La donna infatti, single, non avrebbe potuto trovare altra soluzione per accudire il proprio cane e, se non avesse ottenuto il permesso, l’avrebbe dovuto abbandonare a se stesso (ipotesi di difficile realizzazione, vista la tempestiva e grande dedizione nella cura del proprio amico).

Come poteva il datore di lavoro, dunque, addossarsi tale responsabilità? Non poteva.

Così ha concesso il permesso retribuito di due giorni alla donna, la quale ha potuto assistere il proprio amico nel momento del bisogno.

Il lieto fine

Tutto è bene quel che finisce bene. A noi, però, piace pensare che la decisione storica di questo datore di lavoro sia stata dettata dall’aver compreso e riconosciuto l’importanza che anche gli animali hanno all’interno della famiglia.

Per qualunque informazione non esitare a contattarci all’indirizzo info@avvocatoanimali.it

Comments are Closed