green hill beagle

Green Hill: la Cassazione conferma le condanne

Il 3 ottobre scorso la Carte di Cassazione ha confermato le condanne inflitte dalla Corte d’Appello di Brescia nei confronti dei vertici di Green Hill, l’allevamento di Montichiari (BS) di cani di razza Beagle destinati alle case farmaceutiche a fini sperimentali.

Sono quindi state confermate le pene nei confronti di Ghislane Rondot, co-gestore della struttura, condannata a un anno e sei mesi di reclusione; al veterinario Renzo Graziosi, condannato alla medesima pena di un anno e sei mesi; e al direttore dell’allevamento Roberto Bravi, condannato ad un anno di reclusione.

Le motivazioni della sentenza non sono ancora pubbliche, ma considerando che la Cassazione ha confermato le condanne inflitte agli imputati dalla Corte d’Appello, si può facilmente ritenere che sia stata riconosciuta in capo agli imputati la commissione dei reati di maltrattamento di animali descritti nella sentenza di secondo grado.

In particolare, la Corte d’Appelo di Brescia, nelle 97 pagine della sentenza che ha portato alla condanna degli imputati, ha evidenziato come «non possa dubitarsi che i cani beagle ospitati in Green Hill siano stati sottoposti a comportamenti insopportabili per le loro caratteristiche etologiche. Venivano costretti a vivere in capannoni troppo freddi d’inverno ed eccessivamente caldi d’estate, i box erano spesso sporchi ed imbrattati di feci, stabulavano insieme cani sani e cani affetti da patologie come la demodicosi o malattie intestinali».

Inoltre, si legge ancora nelle motivazioni della sentenza, «i cani, anche quelli ammalati, venivano sostanzialmente abbandonati a se stessi durante la notte, vi erano numerosissimi casi di decesso per ingestione di segatura, soprattutto tra i cuccioli, e i cani affetti da rogna demodettica non venivano adeguatamente curati con medicine aziendali, in quanto non era economico curare cani che sarebbero poi divenuti invendibili».

Il tutto, conclude la Corte d’appello di Brescia, dovuto ad una precisa scelta aziendale di massimizzare i profitti contenendo i costi che sarebbero derivati da un adeguamento della struttura alle esigenze connesse ad un numero così elevato di cani, a discapito della salute e del benessere degli animali.

Tale politica, precisa ancora la Corte d’Appello, va in senso diametralmente opposto all’evoluzione normativa e comunitaria, imperniata sempre più sulla considerazione e tutela dell’animale quale soggetto vivente in grado di apprezzare il dolore e la sofferenza.

Infatti, sono sempre più numerose le norme sia dell’ordinamento italiano che comunitario che puniscono i comportamenti idonei a nuocere agli animali, tutelando sia i sentimenti sempre più consapevoli che le persone nutrono nei confronti degli animali, sia il riconoscimento degli animali non più come mere “cose”, ma come esseri senzienti.

Nel nostro ordinamento, la legge n. 189/2004 ha introdotto nel Codice Penale il “TITOLO IX-BIS – DEI DELITTI CONTRO IL SENTIMENTO PER GLI ANIMALI” il quale modifica ed inasprisce la disciplina previgente riguardante, in generale, il maltrattamento degli animali esplicata sotto varie forme.

Gli articoli 544-bis c.p. e seguenti inquadrano come veri e propri delitti i reati di uccisione, maltrattamento, spettacoli non autorizzati, combattimenti e abbandono di animali, punendoli con pene che vanno dai 3 ai diciotto mesi per i reati di uccisione e maltrattamento (pena massima inflitta a vertici di Green Hill) e dai 4 mesi a tre anni per i reati di spettacoli o manifestazioni vietati e combattimento tra animali.

La vicenda Green Hill

L’allevamento di Green Hill diviene tristemente conosciuto alla cronaca il 28 aprile 2012, quando durante un pacifico corteo animalista un gruppo di dimostranti fa irruzione nell’allevamento liberando alcuni cuccioli presenti nella struttura, lamentando condizioni di detenzione insopportabili per gli animali e l’uccisione e il decesso di numerosi esemplari. Tale manifestazione si concluderà con 13 arresti.

Il 18 luglio 2012 la struttura viene messa sotto sequestro e tutti i 2.639 beagle di Green Hill sono affidati a LAV e Legambiente, nominati custodi giudiziari, i quali si occupano del loro affidamento a famiglie amorevoli pronte ad accoglierli e a dar loro una nuova vita.

Nel giugno 2014 inizia il processo contro Green Hill. Bernard Gotti e Ghislane Rondot, co-gestori di Green Hill, Roberto Bravi e Renzo Graziosi, rispettivamente direttore e veterinario dell’allevamento, sono accusati di maltrattamento e di uccisione di animali.

Il 23 gennaio 2015 il Tribunale di Brescia condanna gli imputati riconoscendoli colpevoli dei reati di maltrattamento e uccisione di animali.

Il 23 febbraio 2016 anche la Corte d’Appello, adita dai vertici di Green Hill, conferma le condanne inflitte in primo grado.

Grenn Hill ricorre in Cassazione, la quale con la sentenza del 3 ottobre 2017 conferma definitivamente le condanne.

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